San Benedetto
21 marzo • 11 luglio
San Benedetto nasce a Norcia (Umbria) verso il 480 da nobile famiglia. Interrotti gli studi a Roma, si dedicò alla vita solitaria, alla meditazione e alla penitenza rifugiandosi sui monti di Subiaco, nell’Appennino umbro-marchigiano.
Dopo un periodo di profonda riflessione interna, abbandonò gli abiti da patrizio, e, spogliandosi di ogni bene terreno, si ritirò a lungo in una caverna.
Coperto da una nomea miracolosa, fondò il monachesimo occidentale, prodigandosi per la diffusione del cristianesimo, fondando 12 monasteri con 12 monaci ciascuno, incoraggiando l’agricoltura e l’allevamento del bestiame in territori abbandonati.
Seguito da discepoli nel 529 fondò a Cassino, sui resti di un precedente tempio pagano, un monastero, tuttora esistente, e l’Ordine religioso da lui denominato benedettino, la cui regola fondamentale, risalente al 540, era ed è “Ora et Labora” (Prega e Lavora).
Muore a Montecassino il 21 marzo 547, dove è sepolto, vicino alla sorella Scolastica, e dove è venerato.
Raffigurato con l’abito da monaco, con il libro della Regola, col bastone pastorale, col calice con il serpente, simbolo del male, ma anche del Santo guaritore.
Consacrato patrono d’Europa nel 1966 da papa Paolo VI, è protettore di arti e mestieri differenti, come ingegneri, speleologi, chimici.
Fondò anche un monastero femminile affidandolo alla sorella, Santa Scolastica.
A Cagliari è nota la grande pala d’altare, attribuita a Orazio De Ferrari, sec. XVII, posizionata nella parete di fondo nell’omonima chiesa, sita in via Verdi, dove il Santo è raffigurato con la sorella, Santa Scolastica, e S. Ignazio, che, in questa chiesetta esercitò il suo noviziato (1721-22).
Il Santo con la sua Regola è ricordato anche in una formella del grande portone bronzeo della chiesa di S. Lucifero (Villanova), opera di P.Giorgio Gometz (1940-2016) che, nella sua realizzazione, ricorda i Santi venerati a Cagliari e nell’intera Isola.
Anche nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari è esposto un dipinto di S. Benedetto, di artista anonimo del sec. XVIII, proveniente dall’omonima chiesa cagliaritana e qui giunto in seguito alle leggi antiecclesiastiche sulla soppressione degli ordini religiosi.
Il dipinto, proveniente dalla chiesa di S. Benedetto di Cagliari, fu attribuito dal canonico Spano allo stesso autore della tela raffigurante Rebecca ed Eliezer al pozzo. Recentemente, in riferimento al giudizio espresso da Raffaello Delogu, lo si è datato ai primi del XIX sec. e attribuito ad un pittore senza caratteri stilistici particolari. In generale si è potuto notare che la tela non presenta degli elementi tali da poter individuare un autore preciso. Nell’ultimo restauro però si è potuto constatare che, oltre alla buona qualità pittorica, sono presenti un insieme di elementi stilistici che riportano all’ambito seicentesco indicato in precedenza e che soprattutto l’opera probabilmente può essere attribuita alla cerchia del Cavalier D’Arpino grazie ai confronti con dipinti di quest’ultimo.
Nell’opera il Santo, in abito nero da abate, con il libro delle Regole e il bastone, è raffigurato con gli occhi rivolti verso il cielo e presenta le lumeggiature tipiche della pittura seicentesca, mentre lo sfondo è reso mediante contrasti cromatici attraverso toni accentuati e saturi.
San Benedetto da Norcia: il Patrono d’Europa
La figura di San Benedetto è sicuramente una delle più importanti del Medioevo.
Il calendario liturgico fissa la festa all’11 luglio ma, a Cagliari, nel quartiere di San Benedetto come da tradizione, la comunità della parrocchia a lui dedicata, vuole ricordare il suo Patrono anche nella data tradizionalmente in uso nei monasteri benedettini, quella del 21 marzo.
San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa, protettore di monaci, speleologi, architetti e ingegneri, fu un abate nato a Norcia in Umbria. Dopo aver compiuto i suoi studi a Roma, si ritirò a vivere come un eremita prima a Subiaco, poi a Cassino. Qui, circondato da numerosi proseliti, fondò un monastero e definì la sua regola, basata sulla preghiera e sul lavoro (‘Ora et labora’), divenuta probabilmente la più diffusa tra i monaci di tutto il mondo.
San Benedetto predicava l’alternarsi della preghiera, della lettura della parola di Dio, con il lavoro intenso, in un ambito di carità e servizio reciproco tra i fratelli e verso i fedeli tutti.
Uomo concreto, San Benedetto volle lasciare un modello di vita finalizzato alla perfezione e all’elevazione spirituale, ma non limitato alla trascendenza. Come Dio interviene nelle situazioni concrete della vita dell’uomo, di ogni uomo, così l’uomo stesso non deve dimenticare mai la sua presenza, glorificandola sì con la preghiera, ma anche con le azioni di ogni giorno, con il lavoro, appunto, e la carità. Azione e contemplazione, dunque, non solo per i monaci, ma per chiunque voglia accostarsi a Dio e vivere nella sua luce, nel suo cammino, seguendo le orme di Gesù Cristo, abbracciando con umiltà e gioia le fatiche e gli impegni quotidiani.
L’aspetto più rivoluzionario della Regola benedettina, che si pone alla base dello sviluppo del monachesimo occidentale, fu di rendere il monastero un’entità autonoma, autosufficiente da ogni punto di vista, anche quello economico.
La Regola di San Benedetto disciplinava non solo il modo in cui i monaci dovevano dividere il proprio tempo, ma anche la loro alimentazione, che doveva essere all’insegna della moderazione e della frugalità. In particolare, la Regola raccomandava il consumo della carne solo per gli ammalati e per chi dovesse rimettersi in forze, mentre in generale prevedeva due pasti al giorno, con zuppe, verdure, radici, legumi, formaggio, uova, ma anche frutta di stagione. Una sorta di dieta vegetariana, insomma, che sfruttava soprattutto le risorse del territorio, anche se in alcune zone erano previsti pesce e cacciagione, seppur con moderazione. Anche il consumo del vino era concesso con parsimonia, mescolato con acqua, ma in molti monasteri prese invece piede l’usanza di bere birra, che da un lato risolveva il problema dell’insalubrità dell’acqua, dall’altro forniva un apporto calorico utile per sostenere i monaci anche nei periodi di digiuno.
Affascinante come, pur essendo tenuti ad alimentarsi con sobrietà e rigore, vendendo tutte le eccedenze alimentari, in molti monasteri i monaci iniziarono fin dall’antichità a dedicarsi alla produzione di prodotti alimentari tradizionali, dal miele al vino, dalla birra ai dolci e alle marmellate, ma anche torte, biscotti, dolci tipici, aprendo la via a una produzione e vendita verso l’esterno diffusa ancora oggi.
La statua
La statua di San Benedetto è oggetto di devozione cara ai fedeli di tutto il mondo cattolico. In essa il Santo è raffigurato con la sua regola in mano, sotto forma di libro o fogli.
Nella Chiesa di Santa Lucia è esposto un simulacro ligneo del Santo, realizzato dallo scultore di Ortisei G. Vincenzo Mussner.
In alcuni casi, nelle statue di San Benedetto ricorrono altri elementi simbolici legati alla vita e all’esperienza del Santo, come la coppa o il corvo. In entrambi i casi, fanno riferimento a due episodi in cui il monaco rischiò di essere avvelenato dai suoi nemici, ma la volontà di Dio lo salvò, preservandolo.
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