Don Pietro Meledina, un prete fedele alla sua vocazione

Da Il Portico, 04/12/2016

Una stretta conoscenza mi lega da cinquantacinque anni con don Pietro Meledina e da circa quarant’anni ho avuto il dono di condividere con lui l’amore per l’evangelizzazione e per la Chiesa. Una grande costante della sua vita è la profonda umanità della persona: ha saputo incarnare il servizio di presbitero fedele alla sua vocazione di sacerdote obbediente ai Vescovi e alla Chiesa, che ha servito anche con la sua presenza puntuale ai tanti momenti di vita comunitaria, partecipando ai convegni e ai ritiri del Clero, nei quali riconosceva la comunione della Chiesa locale e viveva l’amicizia con gli altri presbiteri. Lo caratterizzava una cordialità sincera e l’apertura al dialogo con tutte le persone, instaurava con immediatezza una relazione affettiva con tutti, manifestava la gioia dell’essere sacerdote al servizio dei fedeli e anche di coloro che tiepidi o indifferenti lo avessero incontrato. Amava i giovani e i ragazzi, insegnando nelle scuole medie di quei paesi dove è stato parroco, non trascurando l’aggiornamento professionale per quanto riguardava le metodologie e lo studio della pedagogia più accreditata in quei momenti. Il suo impegno era sempre orientato alla promozione umana e all’evangelizzazione, stringendo rapporti di collaborazione anche con le istituzioni civili, al fine di farsi concretamente prossimo di ciascuno. Vero maestro nel sacramento della Penitenza: tanti fedeli manifestavano di aver ricevuto una nuova luce nella comprensione del sacramento esprimendo il desiderio di volerlo vivere in quella maniera nuova che con lui avevano scoperto. Negli anni 1963-1964, fu mandato a Roma dal Vescovo che lo aveva ordinato,

Paolo Botto, per partecipare ad alcuni lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II: l’esperienza segnò profondamente il suo ministero, al punto che fu autentico promotore del rinnovamento conciliare sotto tutti i punti di vista, promuovendo il cambiamento e adoperandosi instancabilmente per una vera ricezione nel popolo di Dio, mediante l’organizzazione di incontri di studio e di riflessione dei documenti conciliari. Anche il rinnovamento della catechesi, con la pubblicazione dei nuovi testi, fu per lui al primo posto nell’azione pastorale. Stare accanto agli ammalati, portare il conforto spirituale alle famiglie, entrare nelle case di tutti, era per lui missione ineludibile. Ha avuto il dono di riconoscere i carismi e di valorizzare le differenti capacità delle persone, dando a ciascuno il giusto spazio nelle attività delle parrocchie che aveva guidato, gratificando nella semplicità i doni di ciascuno, tra cui la valorizzazione del «genio femminile», e in tal senso fu profeta del magistero di Giovanni Paolo II. L’invocazione a Maria «Mater mea, fiducia mea», che ha caratterizzato tutta la sua vita sacerdotale, lo ha visto tutti gli anni fino al 2015 farsi pellegrino a Lourdes, accompagnando i vari gruppi delle parrocchie. Gli ultimi cinque anni, con la sua dedizione alla rinascita dell’asilo Dessì a Quartu, di cui era presidente, hanno messo in luce la sua delicatezza nei confronti delle famiglie e dei piccoli, convinto che l’accoglienza delle persone e l’educazione delle giovani generazioni fosse la strada maestra per costruire la nuova civiltà dell’amore.

È morto il Giorno della Memoria di Santa Cecilia, la santa della musica che lui stesso eseguiva con l’armonium o con l’organo durante la liturgia. La camera ardente ha visto una processione ininterrotta di persone provenienti da tutte le parrocchie dove è stato parroco (Sestu, Pirri, Castiadas, Elmas, Selargius e Cagliari), così che uomini e donne, lasciati ragazzi o giovani, hanno reso omaggio al sacerdote che in qualche modo aveva segnato la loro vita.

Di Maria Grazia Pau


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